Dolce ora del crepuscolo! – nella solitudine
della pineta e della riva silente
che abbraccia il bosco immemorabile di Ravenna,
cresciuto dove un tempo fluiva l’Adriatico
fin dove si ergeva l’ultima fortezza dei Cesari,
foresta sempreverde, che le storie del Boccaccio
e il canto di Dryden mi resero sacra,
o quanto ho amato l’ora del crepuscolo e te.
(Don Giovanni Canto 105, 1821)
Perennemente alla ricerca di emozioni forti, la fama di LORD GEORGE GORDON BYRON, uno dei massimi poeti britannici, è legata soprattutto alla vita romantica e sregolata, agli scandali politico-letterari, alle avventure eroico-rivoluzionarie e di donnaiolo impunito, che collezionò anche in Italia, dopo che decise di lasciare l’Inghilterra, per non farvi più ritorno e si stabilì, a partire dal 1816, prima a Milano, poi a Venezia e infine dal 1819 a Ravenna, seguendo l’amata Teresa Guiccioli.
La pineta della costa ravennate a Classe, citata nel poemetto epico-satirico in 17 canti Don Juan (in italiano, Don Giovanni), pubblicato postumo, costituisce per Byron un ambiente ideale, perché selvaggio e attraente, altamente simbolico quale fonte d’ispirazione artistico-letteraria e specchio naturale del sentimento romantico dello Sturm und Drang.
Il suo editore Thomas Medwin racconta come, durante il soggiorno a Ravenna (1818-1821), Byron non fosse tuttavia mai stanco delle esplorazioni nella pineta, a piedi o a cavallo. Qui, come scrive il poeta stesso nel terzo canto del Don Giovanni, respirava la favola di Dryden, la coralità del popolo nel Decameron di Boccaccio e la maestosità della profezia nella Commedia di Dante: “C’è qualcosa di stimolante in quest’aria”, confessa (Conversations, ed. Lovell, p.25).
Piero Gamba, fratello dell’amata contessina Teresa Guiccioli, per la quale era venuto a Ravenna, ospite presso il palazzo del cognato in via Cavour, racconta come, al termine di una cavalcata nella foresta, Byron declamasse:
Come, alzando gli occhi al Cielo, o indirizzandoli sulla terra, possiamo dubitare dell’esistenza di Dio? – o come, rivolgendoli a ciò che è dentro di noi, possiamo dubitare che ci sia qualcosa di più nobile e durevole dell’argilla di cui siamo fatti?