A Ravenna ci sono sempre arrivata col treno, anche stamattina. Il viaggio è già parte di quel che io ricordo della città: quando il mezzo rallenta, cerco di riconoscere i binari e di distinguerli nella mia memoria.
Uscita dalla stazione ecco il bar all’angolo dove ho fatto colazione l’estate scorsa con una mia amica Karabin, che avevo accompagnato in città per la seconda volta perché andasse in questura a finire le questioni relative il permesso di soggiorno.
Quella volta Karabin sapeva che ormai avrebbe ottenuto le sudate carte: doveva solo consegnare un paio di documenti. Nel mentre, avevo pensato di farmi un giro mentre lei sbrigava le sue faccende.
Non era la prima volta che mi trovavo a Ravenna, ma per certe cose è come se fosse sempre la prima volta: la Tomba di Dante mi ha commosso ogni volta. Anche quella volta…
Di quella mattina ricordo la mia emozione, il mio orgoglio e il senso di appartenenza culturale. Dante, da me studiatissimo, da me meditatissimo.
Girato l’angolo, un altro incontro letterario: la Biblioteca di Casa Oriani. Entrare tra quelle mura a lui dedicate fu una soddisfazione enorme.
Certe cose le si conosce solo direttamente, per caso, mai sui libri. A me, forse, mica sarebbe rimasto impresso il fatto che le ossa dantesche fossero a Ravenna, se non fosse stato per Paolo.
Paolo è il mio migliore amico e a Ravenna studia Archeologia. Si è laureato alla triennale due anni fa, facendomi commuovere all’ombra della Basilica di San Vitale.
Sono stata io ad accompagnarlo in città la prima volta quando doveva trovare casa. Ed è stato lui ad avermi mandato la foto, per messaggio, del monumento della tomba dantesca: l’aveva scoperto per caso.
Non l’avevamo visto di persona, passeggiando per la città. Eppure dovevamo essere passati proprio lì vicino.
Quello che si possiede della città sta nella forza del ricordo: io, la prima volta, la tomba di Dante l’ho vista per messaggio, e che la tomba di Dante sia a Ravenna, di certo, non lo scorderò mai più.