Non aveva certo torto il filologo Piero Camporesi quando, parlando della cultura enogastonomica dell’Italia, esaltava l’opera del romagnolo Pellegrino Artusi: 790 ricette di origine contadina racchiuse in un’unica opera, dal titolo “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” (1891).
Un vero e proprio manuale capace di raccogliere e raccontare con semplicità la tradizione casalinga, legata a prodotti locali spesso poveri, alla terra, alla stagionalità e alla lavorazione contadina.
La cucina romagnola è dominata dalla pasta fresca con la quale si preparano ottimi primi piatti, soprattutto in brodi corposi.
Ci sono i passatelli con un impasto di uovo, pan grattato, parmigiano e noce moscata, ma anche i cappelletti, rigorosamente fatti a mano con tagliere e mattarello e ripieni di formaggio e Parmigiano Reggiano.
Non mancano poi le tagliatelle, solitamente accompagnate da un ragù di carne e gli strozzapreti, più poveri ma non per questo meno gustosi, fatti con acqua, farina e sale.
E poi c’è la piadina – detta anche comunemente piada – utilizzata in cucina al posto del pane e considerata una delle colonne portanti della cultura gastronomica della Romagna.
Più spessa a Ravenna, più sottile e larga man mano che ci si sposta verso Rimini, viene farcita in mille modi: con salumi, formaggi (in primis Squacquerone di Romagna DOP), con il pesce come la saraghina (pesce azzurro cotto sulla graticola, impanato e profumato con prezzemolo e aglio), ma anche con verdure, creme, dolci e confetture.
Tra i dolci tipici, la più nota e celebre in tutto il mondo è la zuppa inglese (un dolce a base di crema pasticcera, alchermes e savoiardi), ma di casa è anche la più semplice ciambella romagnola, da provare inzuppata nel vino dolce o anche nel Sangiovese.
Sulla tavola, infatti, non manca mai un buon bicchiere di vino: dal Sangiovese DOCG, forte, corposo, perfetto per un pranzo o una ricca cena alla romagnola, all’Albana che si presta benissimo all’abbinamento con formaggi e dolci, come la tipica ciambella romagnola.