Il mito del Passator Cortese è stato raccontato da numerosi libri, persino dal poeta Giovanni Pascoli. Dietro alla figura di questo personaggio romanzesco, però, si nasconde la storia di un brigante, che si macchiò di molti crimini.
Stefano Pelloni nacque nel 1824 al Boncellino, una frazione di Bagnacavallo. Si avviò alla carriera criminale fin da giovanissimo. Prese parte alle ruberie che alcune squadre di malviventi organizzavano nelle campagne di Ravenna, dove estorcevano denari e beni alimentari.
Oltre alle rapine di strada, aveva un modus operandi tutto suo: entrando in un paese, per prima cosa mettevano fuori gioco i rappresentanti della giustizia. Dopodiché, si recavano nei luoghi dove si riunivano le persone più facoltose. Sequestrati i signorotti, si facevano accompagnare presso le loro abitazioni, dove rubavano tutto.
Il suo agire era spinto soprattutto dal desiderio di rivalsa nei confronti dei benestanti.
Come nacque il mito del Passator Cortese
Il Passatore fu ucciso il 23 marzo 1851 nei pressi di Russi. Si racconta che il suo corpo venne fatto sfilare per i paesi che aveva messo a fuoco, in un macabro festeggiamento della sua morte.
Ad aver alimentato la leggenda del “ladro gentiluomo” furono i romanzi a lui dedicati, che all’indomani della sua morte proliferarono numerosi. Tra questi, l’anonima Rapsodia di Stefano Pelloni, detto il Passatore in versi del 1862.
La leggenda del “Passator Cortese” come Robin Hood di Romagna nacque sulla falsa idea che il Pelloni ridistribuisse ai poveri ciò che rubava ai benestanti. In realtà, il Pelloni era grato solo a chi, per salvarsi la pelle, cedeva lo aiutava a nascondersi dalla giustizia!
La sua storia venne resa celebre da Il Passatore, film del 1947 girato da Duilio Coletti. La trama del film ha poco a che vedere con la realtà storica: il Passator Cortese, innamorato della bella Barbara, viene ostacolato nel coronamento del suo amore e si vendica della felicità che gli è stata negata.