PIAZZA ANITA GARIBALDI prende la sua intitolazione dal monumento inaugurato il 10 settembre del 1888 alla presenza di re Umberto I, intitolato ad Anita Ribeira de’ Silva di Merinos, “moglie e compagna di gloria e di sventura di Giuseppe Garibaldi” e “ai ravennati che morirono sul patibolo, nelle carceri, in guerra e in esilio”, così come recita la delibera comunale che varava il progetto per onorare i Caduti per l’Indipendenza, ideato con l’annessione allo Stato Sabaudo del 1860.
Il lavoro fu affidato al fiorentino Cesare Zocchi e, nel clima di alta conflittualità sociale e contrasti ideologici tra monarchici e oppositori, sollevò diverse polemiche.
In segno di protesta contro la famiglia reale, ventitré associazioni repubblicane e ventotto socialiste di mezzadri e braccianti non parteciparono neppure all’inaugurazione.
I quattro leoni rappresentati nel monumento simboleggiano gli anni cruciali del Risorgimento: il 1831, il 1848, il 1859 e il 1870. La figura femminile, con le sembianze della dea Atena, che dona una corona d’alloro a un soldato caduto, rappresenta la città di Ravenna.
Nei bassorilievi in bronzo sono, invece, raffigurati due momenti della vita di Anita: il guado del fiume Canavas e la sua morte per malaria, avvenuta il 4 agosto del 1848 presso la Fattoria Guiccioli, a nord di Ravenna.
La piazza in sé è di poco più antica. Sorta nel 1879, lungo il viale che conduceva alla Stazione Ferroviaria, prese il posto di vecchi edifici del quartiere.
Durante i bombardamenti del 1944, la piazza e il monumento furono fortemente danneggiati. In seguito, dopo la fine della Guerra, furono soggetti a lavori di restauro che li riportano alla situazione originaria.
I mosaici de “Il genio delle Acque”
Nel 2011, in concomitanza ad alcuni lavori di scavo realizzati per realizzare un’isola ecologica, emersero pavimentazioni musive di età romana che sono oggi sono visibili presso il Museo TAMO.
I reperti appartengono a una residenza di epoca imperiale romana, con pavimenti a mosaico in bianco e nero, a motivi geometrici, riferibili a quattro diversi ambienti che si aprivano intorno a un’area cortilizia, al centro della quale si trovata anche un pozzo per l’acqua.
Su uno di questi pavimenti è presente la raffigurazione di un uomo con barba, simbolo di una divinità fluviale, motivo per cui l’esposizione è stata soprannominata “Il genio delle acque”.