Considerato uno dei migliori PINOLI d’Italia e del mondo, quello ravennate è da secoli al centro di un florido commercio e una lunga storia di gastronomia.
Raccolto e venduto come prodotto di pregio sin dal medioevo, sosteneva parte dell’economia locale, tanto che il suo sfruttamento era minuziosamente regolamentato. Nel XVI e XVII secolo, quando i boschi appartenevano alle abbazie ravennati, le popolazioni avevano soltanto il diritto di pascolo e legnatico, oltre a quello di caccia e pesca, mentre lo sfruttamento economico vero e proprio delle pinete (legname, pigne e pinoli, pece e nero fumo per inchiostri) era appannaggio esclusivo dei monaci.
Diversi documenti, tra cui il ricettario di Messisbugo del 1559, ne riportano il cospicuo utilizzo in cucina per la preparazione di molti piatti oppure tal e quale. Veniva infatti utilizzato per pasticci, polpette, crostate, ripieni, lasagne, minestre e confetture. Il Tanara sottolinea invece come fossero note già nel ‘600 le sue proprietà salutistiche per la cura dell’apparato respiratorio e urinario.
Per la difficile raccolta dei pinoli un tempo venivano assoldate schiere di “pinaroli” che abitavano in grandi case all’interno della pineta per tutti i mesi di lavoro, generalmente tra ottobre e aprile. Oggi questi edifici, poco utilizzati negli ultimi decenni, sono al centro di un progetto di restauro e recupero che comprende diversi luoghi, prodotti e tradizioni locali.