“Di Ravenna comunque non ho che da sorridere, di un sorriso grave, meditabondo, filosofico, mi affretto a precisare, così come conviene alla dignità storica (…) del luogo. Il resto della mattinata lo trascorsi passando incantato dalle calde strade inondate di luce dorata al freddo e grigio interno delle chiese.
Quel grigio però era dovunque vivificato dallo scintillio delle volte e delle trabeazioni ricoperte di mosaici più o meno arcaici, ma sempre brillanti ed elaborati; dovunque si sentiva anche lo stesso profondo stupore per il fatto che, mentre i secoli erano trascorsi ed erano caduti e risorti imperi, queste piccole tessere colorate di pasta vitrea rimanevano nelle loro sedi conservando intatta la loro freschezza.”
(H. James, Ore italiane 1872-1909)
Sarebbe possibile teorizzare che i romanzi di HENRY JAMES non parlino tanto di personaggi quanto piuttosto di epoche, di culture, di sfere sociali. È l’incontro, spesso in forma di scontro tra culture e appartenenze (una americana, l’altra inglese), ad offrire il terreno ideale su cui James costruisce parte della psicologia dei personaggi e una narrazione, in cui abbondano il punto di vista soggettivo e la tecnica del monologo interiore, che daranno una svolta decisiva al romanzo moderno.
In questo senso deve essere stato enormemente prezioso il viaggio che Henry James fece in Italia e la sua permanenza a Ravenna, città a cui sono dedicate ben 11 pagine della sua raccolta Ore italiane, scritta tra il 1872 e il 1909.
Pagine che, ancora oggi, risultano affascinanti e grandemente preziose perché intessute di visioni, ovvero descrizioni di ambienti ma anche di atmosfere, che ci riportano a una Ravenna emozionante e ricca di tesori, artisticamente esibiti o incredibilmente potenti anche solo per il riverbero del passato che riaffiora dovunque. Scrive infatti James:
“È come se la storia si fosse nascosta sotto terra per sfuggire alle ricerche
e voi l’aveste felicemente riportata alla luce (…)
dovunque vi giriate vi imbattete in qualche appassionato richiamo
alla vostra memoria storica”.
E della cappella di Galla Placidia dice:
“Si tratta forse del punto, nell’intera Ravenna,
dove l’impressione possiede un’autorità sovrana ed una grande forza emotiva”
Spontaneo, coinvolgente James ci guida con grande empatia per le strade e le piazze ravennati, come quando scrive semplicemente:
“Perché Ravenna, meno di una settimana fa,
era nel suo splendore, quando camminavo lungo il bordo delle strette fasce d’ombra
che accompagnavano da un lato le sue strade bianche e deserte”.
Dedicherà anche lui, come i suoi illustri predecessori, un’attenzione particolare all’intersezione tra arte e natura, tra storia e presente, tra ragione e sentimento, quando arriva a Classe e gli si apre davanti maestoso lo spettacolo di Sant’Apollinare:
“ […] Tra la città e la foresta, nel mezzo di un terreno paludoso e malarico, si innalza la più bella delle chiese ravennati, l’imponente tempio di Sant’Apollinare in Classe.
L’imperatore Augusto aveva costruito nei dintorni un porto, per la sua flotta, che i secoli hanno insabbiato e che sopravvive solo nel nome di questa antica chiesa. La sua posizione di assoluta solitudine ne raddoppia l’effetto.
Le sue grandi porte si aprirono dinnanzi a me, facendo filtrare un raggio di calda luce nella splendida navata, tra le ventiquattro colonne di marmo cipollino soffuse da una luminescenza perlacea; e la luce salì anche per l’ampia scalinata dell’abside, per poi trascorrere sotto i mosaici della volta. Rimasi lassù in alto per una memorabile mezz’ora, seduto in quell’onda di luce morbida, a guardare in basso la grigia e fredda ampiezza della navata, e poi fuori dalla porta spalancata, verso il verde vivido degli stagni, porgendo l’orecchio a quella quiete malinconica”.