Nel cuore della Ravenna medievale c’è un piccolo angolo di pace e rispetto dedicato alla memoria di DANTE ALIGHIERI, Padre della Lingua Italiana.
È qui che all’ombra di una grande quercia fatta piantare da Giosuè Carducci agli inizi del ’900 sorge la sua TOMBA, ultimo luogo di riposo del Sommo Poeta.
Costruita tra il 1780 e il 1781 su progetto dell’architetto Camillo Morigia, la cosiddetta “zucarira” (la zuccheriera in dialetto locale) – così come viene amichevolmente soprannominata dai ravennati – si staglia sul fondo di Via Dante Alighieri, protagonista indiscussa della cosiddetta Zona del Silenzio.
Sull’architrave di accesso un cartiglio in marmo recita “Dantis Poetae Sepulcrum”, identificando immediatamente il luogo in cui ci troviamo.
Il mistero delle ossa di Dante
Nel 1321, quando Dante morì, la sua tomba doveva essere una semplice cappella, probabilmente un sarcofago, posto all’esterno della Chiesa di San Francesco, fatto realizzare da Guido Novello da Polenta, signore di Ravenna, per rendere omaggio alle spoglie del grande Poeta.
Nel 1483 Bernardo Bembo, che governava la città per conto della Repubblica di Venezia, procedette al suo rifacimento, commissionando allo scultore Pietro Lombardo il bassorilievo marmoreo con il ritratto di Dante, che oggi ritroviamo all’interno della Tomba.
Tra alterne vicende legate alle spoglie del Sommo Poeta contese tra Ravenna e Firenze, tra il ‘500 e il ‘700 le ossa di Dante scomparvero per ben due secoli, gelosamente custodite dai monaci francescani.
Tra il 1780 e il 1782 fu costruito l’attuale mausoleo. Su volere del cardinal legato Luigi Valenti Gonzaga (1725-1808), l’architetto ravennate Camillo Morigia (1743-1795) realizzò un tempietto neoclassico dalle linee essenziali e dal sobrio decoro.
Fu in quell’occasione che le spoglie di Dante comparvero nuovamente, ricollocate nell’urna originaria. Vi rimasero però ben poco. Nel 1810, a causa delle leggi napoleoniche, i frati furono costretti a lasciare il convento, ma prima si premurarono di nascondere la cassetta con le ossa.
Il 25 maggio 1865, durante i lavori di manutenzione del convento adiacente la tomba, un muratore rinvenne casualmente in una parete del Quadrarco di Braccioforte una cassetta di legno, che l’intervento di un giovane studente, Anastasio Matteucci, salvò dalla distruzione.
Su di essa una scritta recitava “Dantis ossa a me Fra Antonio Santi hic posita anno 1677 die 18 octobris” (“Queste le ossa di Dante da me collocate in data 18 ottobre 1677”).
In quell’occasione la salma fu ricomposta, esposta al pubblico in un’urna di cristallo per qualche mese, quindi ritumulata all’interno del tempietto che oggi conosciamo.
Da allora, a parte dei piccoli trasferimenti avvenuti durante la Seconda Guerra Mondiale per evitare possibili distruzioni, le spoglie del Sommo Poeta non hanno subito più alcun spostamento, mettendo così la parola fine a una rocambolesca vicenda che per secoli ha pervaso di mistero le ossa del grande Poeta.
La tomba di Dante
L’interno della tomba, rivestita di marmi in occasione del Centenario del 1921, conserva l’arca sepolcrale che racchiude le ossa di Dante con il bassorilievo dello scultore Pietro Lombardo.
Sulla fronte è inciso l’epitaffio latino del poeta Bernardo Canaccio (1327):
“Iura monarchie superos Phlaegetonta lacusque / lustrando cecini fata volverunt quousque sed quia pars cessit melioribus hospita castris / actoremque suum petiit felicior astris hic claudor Dantes patriis extorris ab oris / quem genuit parvi Florentia mater amoris”
ovvero “I diritti della monarchia, i cieli e le acque di Flegetonte
visitando cantai finché volsero i miei destini mortali.
Poiché però la mia anima andò ospite in luoghi migliori,
ed ancor più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto racchiuso,
(io) Dante, esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore.”
Ai piedi dell’arca è posta una ghirlanda di bronzo e argento donata dall’esercito vittorioso nella Prima Guerra Mondiale. A destra è presente l’ampolla realizzata dallo scultore triestino Giovanni Mayer e offerta dalle città giuliano-dalmate nel 1908.
Al centro del piccolo ambiente pende una lampada votiva alimentata con l’olio delle colline toscane che ogni anno, durante la seconda domenica di settembre, il Comune di Firenze offre in memoria del loro illustre concittadino.
Ogni giorno, la memoria di Dante è viva attraverso L’ora che volge il disìo – la lettura perpetua della Divina Commedia.
Tutti i giorni e per sempre, nei pressi della Tomba di Dante, viene letto un canto dell’opera universale di Dante: un modo per celebrare il poeta e dare la possibilità a chiunque lo desideri di cimentarsi nella lettura di una delle opere più illustri della storia della cultura italiana.